Quando arriva il martedì grasso, le città e i borghi dell’Abruzzo fanno rivivere antiche usanze la cui origine si perde nella notte dei tempi: i falò accendono le piazze e i roghi dei fantocci riscaldano gli animi, mentre le vie si colorano di maschere e magnifici carri allegorici creati dai mastri cartapestai locali. E queste sono solo alcune delle attrazioni di un rituale sospeso tra tradizione e trasgressione, in cui la farsa la fa da padrona, non risparmiando nemmeno lo spauracchio della morte. In certi paesi, infatti, si mettono in scena finti funerali con tanto di figuranti vestiti a lutto. E perché stupirsi? In fondo, per dirla all’abruzzese, a Carnevale ogne burle vale!
Il Carnevale abruzzese è molto diverso da quelli più blasonati che si festeggiano in altre regioni italiane e, per certi versi, ricorda quelli dei Paesi Baschi, delle valli alpine piemontesi e della Sardegna. Soprattutto nei piccoli borghi come Castiglione Messer Marino e San Vincenzo di Guardiagrele, le celebrazioni hanno conservato il loro carattere tradizionale e chi vi prende parte assiste incantato ad un antico rituale contadino di purificazione.
Protagoniste assolute sono le danze, come il Saltarello o quella del palo intrecciato, nella quale i ballerini si muovono ritmicamente intorno ad una pertica, avvolgendola e spogliandola di nastri colorati. Anche il canto di Carnevale e quello dei Mesi, altrimenti detto mesciarule, contribuiscono all’atmosfera di sfrenato divertimento. Per non parlare degli assordanti cortei i cui partecipanti agitano delle pentole con un buco nel mezzo, le cosiddette caccavelle, al grido di “fora fora Carnuvale”.
Che dire, poi, dei travestimenti? Ad animare e rendere più suggestivi i festeggiamenti abruzzesi contribuisce la maschera di Pulcinella, il cui fascino ha conquistato anche la commedia dell’arte. Questa figura, divina e un po’ magica, è caratterizzata da tanti elementi ricorrenti, come la mazza coi nastri variopinti che funge da bacchetta, il gigantesco cappello a cono che rimanda all’unione tra terra e cielo e il campanaccio, emblema di fertilità, il cui suono ricorda quello della transumanza.
Altre maschere comuni sono quelle coinvolte nell’esilarante processo a Re Carnevale. Nella messinscena d’origine medievale ogni attore ha un importante ruolo simbolico, a partire, ovviamente, dall’accusato. Ad essere messi alla gogna, infatti, sono la natura selvaggia e i politici corrotti, colpevoli di esercitare il potere in modo meschino e nefasto. E non serve a nulla l’autoproclamazione d’innocenza da parte del povero Re: il giudice, simbolo dell’equilibrio tra umanità e natura e tra autorità e popolo, lo condanna a morte, provocando il dolore della vedova. Quest’ultima, interpretata da un maschio, rappresenta un altro personaggio chiave, insieme all’avvocato, proiezione della legge, e al dottore, espressione della scienza. Dopo il processo, la sceneggiata si chiude col corteo funebre guidato dalla moglie dell’ex sovrano, che intona una litania satirica. Quindi, il fantoccio che rappresenta Re Carnevale viene bruciato proprio come accadeva un tempo, quando il fuoco, simbolo sincretico di distruzione e rinascita, doveva cacciare gli influssi maligni e festeggiare la primavera, propiziando l’abbondanza dei raccolti. Sono questi significati culturalmente elevati, gelosamente custoditi dalla popolazione locale, a rendere il Carnevale abruzzese così unico e speciale.
Se, poi, tutto ciò non dovesse bastare, a deliziare i visitatori saranno i prelibati dolci tipici, come i maccaroni con miele e noci, la cicerchiata che ricorda gli struffoli napoletani e, naturalmente, le pupe e i cavalli, altri simboli propiziatori da gustare a più non posso, per vivere fino in fondo la trasgressione del Carnevale.
Parlando del Carnevale abruzzese viene subito alla mente quello più antico della regione, che risale al primo dopoguerra e si festeggia nella splendida cornice di Francavilla al Mare. La manifestazione, arrivata ormai alla sessantaduesima edizione, ha il suo fulcro nel corso centrale del paese, che ogni anno si riempie di suoni, colori e gente festante, accorsa per godersi la meraviglia dei carri allegorici. Spesso ispirati a personalità di spicco riprese in chiave caricaturale, questi ultimi vengono magistralmente costruiti da abili cartapestai del luogo e sfilano al seguito di Patanello, goliardica maschera locale, ispirata ad un ciabattino vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Merita una menzione anche il Carnevale di Pettorano sul Gizio, dove la piazza principale, in occasione della festa più pazza dell’anno, diventa il palcoscenico ideale per mettere sotto ai riflettori i “peccati” della comunità. Per farlo, un fustigatore del malcostume declama a gran voce un particolarissimo testamento, quello di Re Carnevale, provocando lo stupore e l’ilarità della gente.
Imperdibili, poi, le celebrazioni di Crognaleto, in provincia di Teramo. Qui, proprio come in alcune località spagnole, il Carnevale diventa la scusa perfetta per presentare pubblicamente il primo figlio maschio, nato all’interno di ogni gruppo famigliare. A dare il benvenuto al piccolo è un’ironica processione, guidata da un declamante in groppa a un asino bardato a festa. Dietro all’animale, denominato Carnevale, avanzano diversi figuranti: uno spargitore di cenere, un vescovo, due guardie, una levatrice impersonata da un uomo e, infine, dei ragazzi col volto truccato di nero, che rappresentano ora un agricoltore che insegue i suoi buoi, ora le bestie, che puntualmente vengono raggiunte. L’inedito corteo sosta di casa in casa, dove il declamante intona versi coloriti dedicati all’erede e, sorseggiando il primo bicchiere di vino, apre un banchetto destinato ad allietare tutti i presenti.
Anche a Città Sant’Angelo, per seguire la tradizione, ci si affida alla poesia. I sonetti, detti “ ttavitte”, ricordano quelli che Antero De Tollis, un calzolaio soprannominato “Ndirucce”, componeva per schernire i potenti e raccontare le vicende che avevano interessato i cittadini durante l’anno appena trascorso. Ancora oggi, come nell’Ottocento, le rime divertono l’intera comunità che, la domenica di Carnevale, si riunisce nella piazza principale, per assistere alla premiazione dei versi più spassosi e del carro più fantasioso.
Infine, come dimenticare il Carnevale morto di Montorio al Vomano? L’usanza di sdrammatizzare il giorno delle Ceneri inscenando le esequie del re “vecchio e pazzo” è ricordata persino da D’Annunzio e, ai giorni nostri, si ripresenta con lo stesso spirito beffardo, per la gioia di adulti e piccini. Il defunto sovrano, impersonato da un pupazzo o da un uomo del posto, pronto a “sacrificarsi” per mantenere viva la tradizione, viene trasportato nelle vie del paese, seguito da un corteo di maschere vestite a lutto. Partecipa allo scherzo anche la banda cittadina che, a musiche colme di irriverente allegria, alterna marce funebri che danno alla burla una parvenza di verità. Perché tutti, qui, vogliono aderire a una manifestazione sentita e corale, capace di trasportare cittadini e turisti in un fantastico viaggio tra risate e folclore.